bambini in affido ……..quante realtà da scoprire
DOTT.SSA NORA SALVINI
Nella confusione mediatica della prima fase pandemica mi ero sempre rifiutata di leggere una notizia riportata da più testate, il cui titolo faceva riferimento ad un cospicuo gruppo di aspiranti genitori che protestavano perché il lockdown impediva loro di recarsi in Ucraina a prendere i propri figli adottivi.
In verità la loro pretesa mi aveva anche un poco urtata, poiché mi sembrava una mancanza di consapevolezza della gravità della situazione e delle conseguenze di azioni imprudenti sulla salute di tutti.
Avevo infatti immaginato che questi genitori dovessero raggiungere i propri futuri figli in qualche orfanotrofio. Quando, però, ho finalmente aperto la notizia ho conosciuto un mondo inatteso.
I bimbi in questione erano in realtà neonati partoriti da poche settimane da donne che avevano “affittato” il loro utero per maternità surrogate sotto l’egida della Biotexcom.
Ho così scoperto che a questo Centro per la Riproduzione Umana ucraino afferiscono molte coppie europee impossibilitate a generare figli, se non tramite altri “grembi materni”.
Tutto viene regolamentato dalla legislazione ucraina (i genitori devono essere sposati ed il materiale genetico del feto deve appartenere ad almeno uno dei due), dai protocolli sanitari della clinica e dal tariffario della sua amministrazione (si va dai 29,900 ai 49,900 euro a “bimbo in braccio”-citazione testuale: un po’ l’equivalente di “chiavi in mano”).
Le somme erogate dalle coppie vanno in minima parte alle giovani “affittuarie”, le quali possono vedere e forse toccare il bambino partorito solo nei primi tre giorni di vita e solo a discrezione dei genitori adottivi.
Il problema del lockdown è stato quello di aver lasciato decine di lattanti nella nursery della Biotexcom affidati alle cure esclusive delle puericultrici per molto tempo. Un video, diffuso dalla compagnia per tranquillizzare i genitori, li mostra in un ambiente asettico pieno di luci e di colori mentre urlano tutti all’unisono nell’andirivieni di efficienti tate sorridenti.
Confesso che sono rimasta interdetta. Sembrava uno spot pubblicitario di bambini in vendita.
Mi sono chiesta: quanto è eticamente corretto un tariffario “bimbo in braccio”?
E poi…Da anni si studia la nascita della relazione madre-figlio attraverso suoni, sapori e legami imponderabili, che si struttura già nella gravidanza. E’ giusto interromperla bruscamente per affidare il neonato ad un committente?
E ancora…Questo frangente ha creato senz’altro una situazione sui generis ma ci ha anche insegnato che esiste l’imprevedibile. Potranno mai questi bambini recuperare l’assenza di un contatto fisico avvolgente ed amoroso, mancato proprio nei primi mesi di vita?